Martina, la regina del tennis

Martina Navratilova

In un mostruoso 1983, Martina Navratilova vince 16 tornei, e 86 partite su 87. Purtroppo per lei, l'unica sconfitta arriva contro la semisconosciuta Horvath nei quarti di finale di Roland Garros, e questo le impedisce di realizzare il grande Slam. Considerando però che all'epoca gli Australian Open si svolgono a fine anno, riesce a vincere sei tornei dello Slam consecutivi a cavallo degli anni 1983 e 1984, il che le dà comunque la possibilità di fregiarsi del titolo di conquistatrice del massimo traguardo del tennis. E poi, che le si riconosca o meno questo titolo, rimangono 57 successi nelle prove del Grande Slam, 18 nel singolare dove raggiunge 32 volte la finale, 167 vittorie totali in singolare e 169 in doppio, un record di 154 vittorie e 3 sconfitte nel biennio 83-84, a fare della Navratilova l'atleta più vincente nella storia dello sport, un'autentica icona. E stupidi e privi di qualsiasi fondo di verità rimangono i discorsetti ironici sulle sue preferenze sessuali, a voler sollecitare l'idea che fosse in realtà un.. Martin. La grandezza del personaggio, l'importanza avuta nello "sdoganare" il tennis femminile, da passatempo di ragazzine con il gonnino bianco a vero sport per vere atlete, ne fanno una delle atlete più importanti nella storia dello sport, con la rivale e poi amica Chris Evert ha dato un impulso a questo sport che non ha paragoni in altre discipline, se non nel basket con Larry Bird e Magic Johnson.

La volata di Cova

La IAAF, la federazione mondiale dell'atletica, annuncia la nascita di una nuova occasione di incontro per gli atleti prima delle Olimpiadi, i Campionati del mondo, che si terranno un anno prima dell'evento olimpico, in modo da permettere una sorta di rodaggio a tutti gli atleti in vista dell'evento massimo dello sport. A organizzare la prima edizione è Helsinki, e in Finlandia è subito Carl Lewis a mettersi in evidenza, vincendo 100 metri, salto in lungo e portando la staffetta 4X100 al record del mondo. Ottima seconda nella staffetta è l'Italia, che trova anche il bronzo di Mennea sui 200 ed esulta per la straordinaria volata nei 10.000 del baffo da ragioniere di Alberto Cova.

Cova volata mondiale

Inchiodati al teleschermo dalla telecronaca trascinante di Paolo Rosi, che accompagna la rimonta straordinaria dell'atleta azzurro urlandone 7 volte di fila il nome, gli italiani cominciano a scoprirsi popolo di corridori, come dimostreranno le partecipazioni record alla maratona di New York.. Record del mondo inavvicinabile per Jarmila Kratochvilova nei 400 metri femminili, anche se lei si, tutto sembra, tranne che una donna.. grandi prove anche di Edwin Moses sui 400 ostacoli e di Sergei Bubka nell'asta, i più grandi della storia nelle rispettive discipline.

Australia II strappa la old glory agli americani

Termina dopo 132 anni la più lunga striscia di imbattibilità nello sport, quando la Coppa America, il più prestigioso trofeo velico del mondo, lascia le coste americane per approdare in Australia: dopo 7 accesissime regate, Australia II batte Liberty e porta la Coppa dall'altra parte del mondo. Gli italiani si ricordano di essere anche un popolo di navigatori grazie all'ottima prestazione di Azzurra, la barca voluta da Gianni Agnelli e timonata da Cino Ricci, che diventa talmente popolare da avere parodie comiche in tv. Nel tennis maschile, al contrario di quello femminile, non c'è un vero re, con 4 diversi vincitori nelle prove dello Slam: Mats Wilander vince in Australia, Yannick Noah al Roland Garros, John McEnroe a Wimbledon e Jimmy Connors agli US Open.

Nelson Piquet vince su Brabham il secondo dei suoi tre titoli mondiali di formula 1, battendo in volata un giovane Alain Prost: faccia da schiaffi e sorriso canzonatorio, è stato uno dei piloti più amati dalla gente, il cui amore ricambiava con grandissima simpatia. Nel mondiale rally, Hannu Mikkola porta al titolo la sua Audi Quattro, ma il mondiale marche è della Lancia, con la 037, un mostro di potenza non destinato alla produzione di serie. Arriva nel motomondiale Freddie Spencer, che diventa subito "Freddie the fast", conquistando il titolo delle 500. Greg Lemond è il primo ciclista non europeo a vincere un Campionato del mondo, mentre Giuseppe Saronni porta sulle strade del Giro la maglia iridata, e a fine corsa la trasforma in rosa. Anno magico per la pallacanestro italiana, con Cantù di nuovo sul tetto d'Europa in campo maschile, come Vicenza in quella femminile, e Pesaro in Coppa delle coppe. L'Italia di Gamba campione d'Europa La Nazionale di Sandro Gamba, guidata da Dino Meneghin e Brunamonti, vince i Campionati europei in Francia, superando in finale la Spagna. E campione d'Europa è anche Giovanni "Long John" Franceschi, doppio oro nei 200 e 400 misti agli Europei di nuoto di Roma. Severiano Ballesteros è il miglior golfista del mondo e vince i Masters in America, ma non riesce a condurre l'Europa alla vittoria nella Ryder cup, persa contro gli americani 14,5 a 13,5: è la tredicesima vittoria di fila per i golfisti americani, per fortuna degli europei, l'ultima per i successivi 8 anni.

A tutto calcio

La Roma di Falcao

Anno post-mondiali, spesso portatore di sorprese: la Roma di Nils Liedholm è campione d'Italia dopo un digiuno di 40 anni, guidata dall'ottavo re della città, Falcao, dalle corse sulla fascia di Bruno Conti e dai gol di Roberto Pruzzo. La Juve, sconfitta in campionato, pensa di rifarsi in finale di Coppa campioni, ma non ha fatto i conti con l'Amburgo di Felix Magath, che inventa un gol incredibile con cui diventa il mito degli anti juventini.

La coppa delle coppe termina in Scozia, con l'Aberdeen che a sorpesa supera in finale il Real Madrid, che guarda caso ancora una volta aveva eliminato l'Inter ai quarti di finale. A guidare gli scozzesi, l'allora 42enne Alex Ferguson. L'Anderlecht supera nella doppia finale di coppa Uefa il Benfica di Eriksson, che aveva eliminato ai quarti la Roma del maestro Liedholm. A fine anno, i brasiliani del Gremio battono l'Amburgo per la coppa intercontinentale con una doppietta di Renato Portaluppi: cinque anni dopo, farà impazzire, ma non di gioia, i tifosi della Roma.

Pianeta USA

Cal Ripken vince tutto

Gli Orioles vincono le Serie

Anno senza grandi squilli, quello del baseball, con le 4 division vinte piuttosto agevolmente da Baltimore, i Chicago White Sox, Philadelphia e i Los Angeles Dodgers. Con le due squadre dell'American league che hanno avuto record nettamente migliori di quelli delle corrispondenti dell'altra lega, la finale dell'American è secondo la critica la vera finale della stagione. I giovani Baltimore Orioles sono guidati sul campo da Cal Ripken jr. e da Eddie Murray, che finiscono primo e secondo nelle votazioni per l'MVP, e in panchina da Joe Altobelli, che ha sostituito il leggendario Earl Weaver, un compito secondo molti improponibile. Tony La Russa guida i Chicago White Sox di Carlton Fisk, arrivato da Boston, e Greg Luzinski, detto "the bull", il corpulento esterno che aveva segnato punti decisivi per i Phillies nelle world series di 3 anni prima. Gli Orioles giocano ancora nel vecchio, fatiscente Memorial stadium, che sarà il motivo scatenante della fuga nella notte della squadra di football della città, i Colts, e perdono gara 1, per colpa anche di un errore di Murray. In gara 2 Baltimore trova una partita straordinaria dal lanciatore Mike Boddicker, che lancia una partita completa, con 14 strikeout. Con la serie che va a Chicago, i White Sox sono i favoriti dell'opinione pubblica, ma le cose vanno molto diversamente: gara 3 è un totale dominio degli Orioles, che vincono 11-1, anche grazie al fuoricampo da 3 punti di Murray, gara 4 è di nuovo scontro tra lanciatori, ma Baltimore riesce a trovare 3 punti nel nono inning e porta cosí a casa il pennant.

Nella National league, i Dodgers se la vedono con i Phillies, guidati dai 40 fuoricampo di Mike Schmidt e diventati ormai una succursale dei Cincinnati Reds, con i 40enni Perez e Joe Morgan che hanno raggiunto a Philadelphia Pete Rose. Sul monte di lancio, il leggendario Steve Carlton, che ha raggiunto in stagione la vittoria numero 300, è ben sostenuto da John Denny, il vincitore del Cy Young award. Denny perde lo scontro diretto con Valenzuela, ma Carlton vince gara 1 e gara 4, aiutato anche da Gary Matthews, eroe della serie con 3 fuoricampo. I vecchi di Philadelphia contro i giovani Orioles, dunque, nelle "Serie della I-95", l'interstatale che collega le due città vicine. Gli Orioles perdono gara 1 a Baltimore, anche per un fuoricampo del "vecchio" Morgan, ma pareggiano i conti in gara 2, grazie a un'altra gemma di Boddicker, nell'ultima partita delle World series giocata nel venerando Memorial stadium. Vista la formula 2-3-2 delle finali, infatti, le successive tre gare sono a Philadelphia, e vengono tutte vinte da Baltimore: gara 3 la vince Jim Palmer, che non era il lanciatore partente, battendo Steve Carlton, nell'ultima gara di World series in cui il lanciatore vincente e quello perdente sarebbero diventati membri della hall of fame. In gara 4, con le polveri di Ripken e Murray ancora bagnate, Baltimore vince grazie al comprimario Rich Dauer, che ottiene 3 valide e 3 punti battuti a casa, e finalmente in gara 5 ritrova in tutta la sua potenza Eddie Murray, che mette a segno due fuoricampo che supportano la grande partita del lanciatore Scott McGregor. È il titolo per Baltimore, l'ultimo nella storia della franchigia, il primo e ultimo per la futura leggenda Cal Ripken.

La prima volta dei Redskins

John Riggins guida i Redskins al superbowl

Per non essere da meno dei colleghi del baseball, anche i giocatori di football vanno in sciopero nella stagione 1982-83, solo che visto il numero molto minore di partite in una stagione, lo sciopero cancella 7 delle 16 giornate di campionato. Con solo 9 partite nei libri, la NFL decide allora di allargare i playoff a 16 squadre, 8 per conference, senza distinzione di division. I Raiders, traslocati da Oakland a Los Angeles, e i Redskins sono le numero 1 delle rispettive conference. Nessuna sorpresa nella NFC, dove le prime 4 arrivano in semifinale, e Washington e Dallas, numero 1 e 2, si giocano l'accesso al Superbowl. Il protagonista della partita è il runningback di Washington John Riggins, che corre per 126 yards e realizza due touchdown, vendicando l'unica sconfitta subita in stagione regolare dalla sua squadra.

Nella AFC, i jolly sono i New York Jets, che prima eliminano la numero 3 Cincinnati, poi la numero 1, i Raiders di Marcus Allen. Nella finale di conference, però, si arrendono ai Miami Dolphins e alla loro difesa dominante, che sigilla il 14-0 finale. Nella cornice del Rose Bowl di Pasadena va dunque in scena il Superbowl numero 17: i Dolphins, favoriti anche se di poco nei pronostici, vanno all'intervallo avanti 17-10, ma poi subiscono 17 punti di fila nel secondo tempo. Una corsa di Riggins, l'MVP della partita, e una ricezione di Charlie Brown regalano a Joe Gibbs e alla capitale della Nazione il primo Superbowl della storia della franchigia.

Al draft di fine aprile, i Baltimore Colts scelgono John Elway, ma in una mossa che sembra anticipare la brutta stagione che verrà per Baltimore, Elway rifiuta la chiamata, di fatto costringendo i Colts a cederlo a Denver. Campione nel baseball, snobbata e presto liquidata dalla NFL, questo il destino per la città del Maryland.

L'anello del Dottore

Moses guida Philadelphia alla terra promessa

Con l'arrivo di Moses Malone da Houston, diventa chiaro a tutti che questo è l'anno di Philadelphia, e 65 vittorie in regular season non fanno che confermare i sospetti. Malone è il secondo violino dei Sixers dietro Julius Erving, ma le sue prestazioni sono talmente dominanti da fargli vincere l'MVP. I Boston Celtics si risparmiano una possibile batosta in finale di conference, facendo però una tremenda figuraccia contro i Milwaukee Bucks del difensore dell'anno Sidney Moncrief. Nella finale della Eastern, poi, i Bucks vincono una partita contro i Sixers, compiendo un'impresa: sarà infatti l'unica sconfitta dei playoffs per la squadra di "Dottor J".

Anche con lo showtime in azione, infatti, nulla possono nelle finali i Los Angeles Lakers, che però hanno perso l'apporto della matricola James Worthy, infortunato nell'ultima settimana della stagione regolare. Ma di fronte ai 26 punti e 18 rimbalzi di media(!) messi a referto da Moses Malone nelle 4 partite di finali, sarebbe forse servito l'esorcista, non Worthy. Erving ha il lusso di giocare da rifinitore a fianco del suo onnipotente centro, e si regala infine il meritato trionfo, prima che Bird e Magic comincino veramente la dittatura sulle finali. Al draft di giugno, gli Houston Rockets iniziano il progetto "torri gemelle" scegliendo con il numero 1 Ralph Sampson, i Portland Trail Blazers usano al meglio la loro scelta numero 14, per Clyde Drexler.

Il miracolo di Valvano, la Decisione di Osborne

Titolo a sorpresa per NC State

La finale del Torneo NCAA di basket mette di fronte gli Houston Cougars e i North Carolina State Wolfpack. I nomignoli acquisiti dalle due squadre dicono tutto della partita che sarà: da una parte i "Phi Slama Jama", la confraternita della schiacciata di Houston, guidata da Hakeem Olajuwon e Clyde Drexler, la numero 1 di tutti i rankings, imbattuta da 25 partite, la squadra il cui motto è "vince chi fa più schiacciate", e che sotto una valanga di schiacciate ha sepolto Louisville nella semifinale nazionale. Dall'altra parte, i "Cardiac pack", che hanno perso 10 partite nella regular season e sono arrivati in finale dopo aver vinto una partita con un doppio supplementare e un altra 63 a 62. Il coach di NC State, il simpaticissimo paisà Jim Valvano, riassume cosí il tipo di gioco che ha in mente per fermare Houston: "se vinciamo la palla a due, faremo il primo tiro martedi mattina". E infatti, non avendo ancora la NCAA istituito il cronometro per la fine azione, i Wolfpack di NC State imbrigliano il talento di Houston con un ritmo lentissimo e una tremenda zona a tutto campo. Aiutata anche da un paio di tiri da lontanissimo, North Carolina State ha l'ultimo possesso sul 52 pari: un tiro da fuori cortissimo diventa un passaggio per il centro di NC State, Lorenzo Charles, che prende la palla al volo e schiaccia sopra la testa di Olajuwon. "Vince chi fa più schiacciate", dicevano a Houston: North Carolina State ne ha fatte due, Houston una. Si realizza cosí quella che molti giornalisti definiscono la più grande sorpresa nella storia dello sport americano: la cenerentola ha ballato l'ultimo ballo.

Anno di controversie nel football, sul campo e fuori: prima dei bowls, Nebraska è la numero 1 dei ranking, davanti a Texas, Auburn del fenomenale Bo Jackson, Illinois e Miami. Il 2 gennaio 1984, succede tutto in poche ore: prima Illinois si autoelimina dalla corsa per il titolo con una bruttissima sconfitta contro UCLA nel Rose Bowl, poi Texas scivola contro Georgia nel Cotton Bowl, 10 a 9. Auburn avanza allora la propria candidatura, vincendo il Sugar Bowl, ma solo per 9 a 7, scarto minimo che poi si rivelerà "troppo" minimo. Nell'Orange Bowl, la numero 1, l'imbattuta Nebraska dell'Heisman winner Mike Rozier, ha l'occasione di chiudere tutti i discorsi, ma si imbatte in Miami, che gioca in casa e vuole lasciare con un anello il coach Howard Schnellenberger, allettato dalla proposta di dirigere una franchigia USFL a Miami, cosa che poi non succederà.

Controversie dopo i bowls del college del 1983

La partita è in bilico fino alla fine, con Nebraska che con un touchdown accorcia lo svantaggio fino al 30-31. Qui il coach dei Cornuskers Tom Osborne prende "The decision", che in Nebraska ancora oggi chiamano in ben altri modi: invece di accontentarsi del facile punto extra che darebbe a Nebraska il pareggio nella partita, ma con quasi assoluta certezza il titolo nazionale, opta per la conversione da due punti, che ovviamente fallisce. Vince dunque Miami, 31-30, ma a Auburn Bo Jackson e compagni vanno a letto sentendosi campioni nazionali. Si sveglieranno con ben altro animo, quando le classifiche del giorno dopo premiano Miami, issando gli Hurricanes al numero 1 davanti alla stessa Nebraska e, solo al numero 3, Auburn. Secondo i coach che decidono le classifiche finali, una vittoria con 2 punti di scarto per Auburn non è bastata per farla salire dal numero 3 al numero 1, ma una da un solo punto per la numero 5 Miami, si. Con un titolo nazionale e il prossimo arrivo di Jimmie Johnson, Miami sta per diventare "The U". L'Holiday Bowl ha ancora una volta un finale da libri di storia sportiva, con BYU che batte Missouri con un passaggio all'ultimo secondo di Steve Young. Oregon e Oregon state si coprono di ridicolo pareggiando, per l'ultima volta nella storia, zero a zero, colpa di 6 fumble, 5 intercetti e 4 field goal sbagliati.

Altri sport

I Michigan Panthers primi campioni USFL

Partono il 6 marzo le operazioni della USFL, dopo che nel draft di gennaio Dan Marino era stato scelto al numero 1 dai Los Angeles Express, ma non aveva firmato, al contrario di Herschel Walker, a cui viene data la scelta della squadra per cui giocare: firma un contratto milionario con i New Jersey Generals. 12 squadre sono impegnate nel primo anno di partite, ma i grandi numeri di ascolto alla tv portano altre 24 richieste di affiliazione. Sul campo, Walker domina le difese avversarie, ma i Generals sono troppo deboli: vanno ai playoffs i Philadelphia Stars, con il miglior record di 15 vinte e sole 3 perse, i Michigan Panthers, i Chicago Blitz e gli Oakland Invaders. Philadelphia e Michigan si ritrovano a Denver per la prima partita che vale il titolo USFL (ancora nessun nome roboante per la partita): nonostante siano sfavoriti, i Panthers si impongono 24-22, grazie alle ricezioni di Anthony Carter.

I Montreal Canadiens avevano vinto 4 Stanley cup di fila, dal 1976 al 1979: nel 1983, i New York Islanders eguagliano questo straordinario risultato: in finale annientano gli Edmonton Oilers di Gretzky, tanto per cambiare MVP della stagione, ma ancora senza titoli di squadra. Bobby Allison vince il campionato Nascar, Al Unser conquista il suo secondo titolo Cart.

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