Marc e Pirmin, i signori delle nevi

Zurbriggen e Girardelli

Solo i numeri possono esprimere quello che hanno fatto e rappresentato per il mondo dello sci alpino Marc Girardelli e Pirmin Zurbriggen: 9 coppe del mondo assolute (5 il lussemburghese d'adozione, austriaco di nascita, 4 lo svizzero) e 14 di specialità (8 a 6 per Zurbriggen), 8 titoli ai Mondiali (4 a testa), dove sono andati sul podio un totale di 21 volte (12 a 9 per Girardelli). 86 gare vinte in coppa del mondo (46 a 40 per Marc), e l'unica pecca di non essere mai andati forte alle Olimpiadi, dove Girardelli ha vinto due argenti, e Zurbriggen il titolo della discesa nel 1988, oltre a un bronzo.

Nel 1985, Girardelli batte Zurbriggen nella volata per la coppa del mondo assoluta, a cui aggiunge quella di slalom e di gigante, Zurbriggen si rifà ai Mondiali di Bormio, dove vince discesa libera e combinata ed è secondo in gigante, gara in cui precede Girardelli, che vince anche l'argento in slalom. Straordinari atlenti polivalenti, più portato verso le discipline tecniche il lussemburghese d'adozione, più a quelle veloci lo svizzero, sono stati i dominatori di 10 anni di sci, e l'autentico incubo dell'Austria, che in tutti gli anni '80 raccoglierà solo briciole a causa loro.

L'anno delle doppiette

Bernard Hinault

La Valtellina organizza una delle più belle edizioni dei Campionati mondiali di sci alpino, che esaltano Pirmin Zurbriggen, oro in discesa e combinata e argento per soli 5 centesimi dietro al tedesco Wasmeier in gigante. La Svizzera fà doppietta anche tra le donne, con Micaela Figini in discesa e Erika Hess in combinata, all'Italia va un solo bronzo, con Paola Magoni che nello slalom quasi replica l'exploit olimpico dell'anno precedente. È annata di doppiette, con Bernard Hinault che vince il suo secondo Giro d'Italia, a cui a luglio unisce il suo quinto Tour de France, entrando nella leggenda del ciclismo. Ai mondiali su strada, in Italia a Giavera del Montello, vince a sorpresa il più "vecchio", il 40enne olandese Joop Zoetemelk, che precede Greg Lemond e Moreno Argentin.

Freddie Spencer

Sempre a due ruote, ma con tanti cavalli in più, è la doppietta di Freddie Spencer, re del motomondiale nella 500 e nella 250. Freddie "the fast" vince 7 gare in entrambe le classi, e si aggiudica il mondiale con due gran premi di anticipo nella classe 250, e senza dover correre l'ultima prova della 500. Anche nel mondiale rally è doppietta, per la Peugeot 205, che vince il mondiale piloti con il finlandese Timo Salonen e quello costruttori. Il mondiale è funestato dalla tragica morte di Attilio Bettega al rally di Corsica, in un incidente in cui rimane miracolosamente illeso il copilota Maurizio Perissinot: la troppa potenza dei mostri del "Gruppo B" è messa ancora una volta in discussione, ma servirà purtroppo un'altra disgrazia, a un anno esatto da questa, nello stesso rally e sempre a una Lancia con il numero 4, a convincere i costruttori ad abbandonare la strada dello sviluppo senza limiti.

Ancora doppietta, nel mondiale di formula 1: Alain Prost vince 5 gran premi e va sul podio in altri 6, superando Michele Alboreto nel mondiale piloti e trascinando praticamente da solo (Niki Lauda si fà vivo solo al gran premio d'Olanda) la McLaren alla vittoria in quello costruttori. Nel tennis, si alternano alla vittoria nelle prove del Grande Slam Mats Wilander in Francia, il numero uno Ivan Lendl agli US Open e Edberg in Australia. A Wimbledon, arriva la grande sorpresa.

Becker campione a Wimbeldon

Vince infatti, proveniendo dalle qualificazioni, lo sconosciuto 17enne tedesco Boris Becker, che vive un torneo da film, ed è anche aiutato da un po' di buona sorte: per arrivare alla finale, supera infatti solo tre teste di serie, il numero 7 Nystrom (9-7 al quinto set), il numero 16 Mayotte (ancora al quinto, 6-2) e il numero 5 Jarryd in semifinale. Una bella mano gliela dà il suo avversario della finale, la testa di serie numero 8 Kevin Curren, che dagli ottavi di finale alla semifinale ha eliminato in tre soli set prima lo svedese Edberg e poi i connazionali McEnroe e Connors, questi ultimi testa di serie numero 1 e 3.

In finale, la polverina magica di Curren finisce, anche se la partita è più combattuta di quanto molti ricordino, e si decide praticamente nel tiebreak del terzo set, vinto da Becker, che poi chiude i conti nel set successivo, realizzando la più clamorosa sorpresa nella storia del torneo londinese.

Dopo 13 edizioni consecutive vinte dai golfisti americani, torna in Europa la Ryder cup, una delle coppe più prestigiose dello sport. Sui green del Warwickshire la vittoria europea non è mai in discussione, e gli eroi della competizione sono gli spagnoli Ballesteros e Pinero, tre vittorie su quattro match insieme in doppio, a cui Pinero aggiunge la vittoria nel singolo dell'ultimo giorno, che Ballesteros pareggia soltanto. La Simac Milano vince il campionato e la coppa Korac di basket, ma non è tanto questa la notizia, quanto il fatto che tra le sue fila giochi un'autentica superstar NBA, Joe Barry Carroll, che per una disputa contrattuale lascia i Golden State Warriors e passa come una cometa nel cielo del basket europeo, in un'epoca in cui c'erano almeno due palazzi tra il basket continentale e quello dei pro americani. Match durissimo tra Hagler e Hearns Dura solo tre round, ma tanto basta per diventare materiale da leggenda "The war", il match di pugilato dell'anno per il titolo dei pesi medi tra Marvin Hagler e Tommy Hearns: i due si affrontano a viso aperto fin dal primo gong, scambiandosi colpi di rara potenza. Hagler, il detentore della corona, si ferisce alla testa, e la ferita gli si apre nel terzo round, e inizia a sanguinare profusamente. Temendo uno stop del medico, "The marvelous" si avventa con furore sullo sfidante e lo spedisce infine al tappeto per il conto di dieci. Non c'è spot migliore per descrivere la violenza ma anche l'adrenalina di questo sport.

A tutto calcio

Elkjaer e Briegel eroi del Verona

È l'anno della favola del Verona campione d'Italia: nel campionato di Serie A, forse il migliore al mondo, sono arrivati nell'estate precedente altri campioni, dopo il colpo Maradona, Rummenigge all'Inter, Socrates alla Fiorentina, Junior al Torino, tra gli altri. La Sampdoria ha acquistato il giovane italiano di maggior talento, Gianluca Vialli, ma è il Verona a fare i due colpi migliori: il difensore tedesco Briegel e l'attaccante danese Preben Elkjaer Larsen. Ispirata a centrocampo da Di Gennaro, con una difesa che sarà la migliore del torneo, grazie alle prove di Tricella e del portiere Garella, i gialloblu di Osvaldo Bagnoli, tecnico che non bada ai ghirigori, duellano a lungo con l'Inter di Castagner, a cui forzano il pareggio nello scontro decisivo a poche giornate dalla fine, costringendoli alla resa, tanto che alla fine secondo sarà il Torino di Junior.

La Juventus non è mai stata in lotta, avendo deciso di concentrare tutte le forze sulla coppa dei campioni, raggiungendo l'obiettivo: la sera del 29 maggio, allo stadio Heysel di Bruxelles, i bianconeri affrontano il Liverpool per la coppa. Prima della partita, però, gli hooligan inglesi caricano il settore adiacente alla loro curva, in cui avevano preso posto numerosi tifosi italiani, che avevano comprato il biglietto individualmente, senza ricorrere al tifo organizzato. La ressa provocata dalle cariche, l'assoluta impreparazione della polizia belga, e il crollo di un muro concorrono a quella che diventa una strage: 39 tifosi, 32 dei quali italiani, rimangono uccisi nei disordini. Con una decisione sconcertante, la Uefa fà giocare lo stesso la partita, che, per dovere di cronaca, termina con la vittoria della Juve per 1 a 0 su calcio di rigore. A seguito dei fatti, la Uefa mette al bando per 5 anni le squadre inglesi dalle competizioni europee, 6 anni per il Liverpool.

L'altra squadra di Liverpool, l'Everton, aveva in precedenza vinto la coppa delle coppe, battendo a Rotterdam il Rapid Vienna per 3 a 1. La coppa Uefa va al Real Madrid, che supera gli ungheresi del Videoton nella doppia finale con un aggregato di 3-1. In semifinale, gli spagnoli avevano rapinato a viso scoperto l'Inter, facendola bellamente franca. Dopo aver vinto l'andata 2-0 a Milano, l'Inter era andata a Madrid con la ragionevole convinzione di farcela, ma in un clima da corrida smarrisce la testa, e perde 3-0. Ci sarebbe la biglia che per poco ammazza Bergomi, ma la per Uefa è tutto buono: risultato omologato e tanti saluti, perchè peggio verrà, tra un anno..

A fine anno, la Juve vince anche la coppa intercontinentale, interrompendo una striscia di 7 vittorie sudamericane: contro l'Argentinos Juniors finisce ai rigori, dopo che Platini e Laudrup avevano rimontato per due volte gli argentini. La partita rimane famosa anche per un gol strepitoso annullato a Platini.

Pianeta USA

Realmente campioni

I Royals vincono le world series

La Lega decide di espandere il formato delle finali di conference al meglio delle 7 partite, una scelta che si rivelerà decisiva per le sorti del pennant dell'American league. Il giocatore dell'anno è senza dubbio Dwight Gooden, che scherza tutti i battitori della National league al termine di una stagione chiusa con 24 vittorie, 268 strikeout e un'ERA ridicola di 1.53. Ma nonostante la stagione assurda di "Doc", non è ancora l'anno dei Mets, a cui non bastano 98 vittorie per superare i Cardinals di Ozzie Smith, dell'MVP Willie McGee e del rookie dell'anno Vince Coleman, che arrivano a 101. Nella finale della National league, St.Louis perde le prime due gare contro i Dodgers di Valenzuela e Orel Hershiser, ma poi ne vince 4 di fila, con gara 5 che rimarrà nella storia per il drammatico fuoricampo di Ozzie Smith, uno dei più famosi "walkoff homerun" nella storia del baseball. Nella American league, si affrontano i Kansas City Royals di George Brett e del Cy Young Brett Saberhagen, vincitore di 20 partite, e i Toronto Blue Jays, una squadra solidissima ma senza superstar. Toronto vince le prime due partite e poi gara 4: negli altri anni, sarebbe finita qui. Ma con la nuova distanza lunga anche per le finali di conference, Kansas City non è morta, e lo dimostra vincendo le successive tre partite, grazie alle grandi prove del capitano George Brett.

Le World series vengono chiamate "Lo scontro della I-70", dal nome dell'interstatale che collega le due città, entrambe in Missouri. I Cardinals sono favoriti e da tali vincono le prime due gare e gara 4: ancora una volta con le spalle al muro, i Royals dimostrano però che che sono la squadra che non muore mai: dopo aver vinto gara 5, riescono a vincere anche gara 6, dopo che erano entrati nel nono inning in svantaggio per 1 a 0. A 3 eliminazioni dalla sconfitta, il momento chiave su cui gira la serie è la chiamata dell'arbitro di prima base, che vede salvo il battitore dei Royals Orta: i replay mostreranno chiaramente che l'assistenza del prima base dei Cardinals Clark al suo pitcher, Worrell, aveva battuto il corridore. Purtroppo per i Cardinals, all'epoca non esiste instant replay, e ovviamente i Royals segneranno due punti nell'inning, vincendo gara 6, e come già successo in altre World Series (e succederà anche nel 1986), anche gara 7, stavolta una partita priva di pathos, con in campo l'MVP delle finali Saberhagen: 11-0 il finale, la prima World Series nella storia di Kansas City.

Marino cade all'ultimo ostacolo

Montana in azione

Uno dei più grandi quarterback della storia vive la sua stagione magica: Dan Marino supera le 5.000 yards di passaggi e arriva a 48 touchdown lanciati, record che dureranno quasi 30 anni, guidando i Dolphins a una grande stagione da 14 vittorie e 2 sole sconfitte. Ma nella NFC c'è chi fa meglio: i 49ers di Joe Montana perdono una sola volta, a Pittsburgh e di misura, 20-17, proponendosi come i favoriti per il Superbowl che si disputerà vicino casa loro, a Palo Alto. Sfruttando il fattore campo, Dolphins e 49ers marciano senza troppi problemi verso lo scontro diretto: Miami supera Seattle e poi ne segna 45 a Pittsburgh, San Francisco batte i Giants 21-10 e poi addirittura tiene a zero Walter Payton e Chicago, battuti 23-0.

Nel Superbowl 19, c'è grande attesa per lo scontro Marino-Montana, ma come succederà in molte finali degli anni '80, la partita non è all'altezza delle aspettative: dopo un'iniziale vantaggio di Miami, che mette in difficoltà la difesa di San Francisco mostrando la novità del "no-huddle offense" che sarà poi perfezionato dai Cincinnati Bengals, la difesa di Bill Walsh si adegua ai lanci di Marino praticamente disinteressandosi delle corse, e Joe Montana mostra che nei momenti che contano è lui, il migliore nel suo ruolo, orchestrando un attacco molto solido, anche senza grandi superstar. Finisce con un'imbarazzante 38-16 per San Francisco, che mette la sua candidatura al titolo di squadra del decennio.

Nel draft, i campioni scelgono "discretamente": con il numero 16, ricevuto da New England dopo uno scambio, selezionano dalla sconosciuta Mississippi Valley State tale Jerry Rice.

La rivincita di Magic

Jabbar MVP delle finali NBA 1985

I Lakers hanno vissuto un anno d'attesa, con un unico obiettivo: tornare a finire quello che avevano lasciato a metà l'anno prima. "Eravamo una squadra in missione", dirà Magic Johnson, "Niente ci avrebbe fermato." Ma i Celtics non stanno a guardare: finiscono la stagione regolare con una vittoria in più dei Lakers, e Bird vince l'MVP. Le due squadre poi veleggiano nei playoffs, i Lakers lasciando per strada due sole partite, i Celtics quattro. Ma per tutti i buoni propositi dei gialloviola, la sera della prima finale della rivincita contro i Celtics, Magic e co. incappano in una serataccia, che unita al 15/16 dal campo realizzato da Bird e soci in 8 minuti trasforma gara 1 nel "massacro del Memorial day": 148 a 114 per Boston. I Lakers si guardano in faccia e giurano che non butteranno via un'altra stagione: meno contropiede e più gomiti, dentro un guerriero come Kurt Rambis, vincono 3 delle successive 4 partite, e infine celebrano l'agognata vendetta vincendo gara 6 al Boston Garden. Kareem Abdul Jabbar è l'MVP delle finali, con prestazioni stellari. In una serie che vede in campo ben nove futuri hall of famers, entrambe le squadre superano i 100 punti in tutte le partite.

Il complotto della busta congelata

David Stern consegna la scelta numero 1 a New York

Al draft di giugno va in scena quella che secondo molti è una macchinazione per far arrivare nel mercato televisivo più importante, New York, la stella universitaria più luminosa, Patrick Ewing. Per la prima volta la NBA adotta il sistema della "lotteria" per determinare l'ordine delle scelte dei giocatori universitari: fino all'anno prima, il lancio di una moneta stabiliva quale tra la peggiore squadra dell'Ovest e quella dell'Est aveva la prima chiamata, con la perdente che sceglieva per seconda, poi dalla terza scelta si andava seguendo i record, dalla terza peggiore alla migliore della regular season. Il nuovo sistema della lotteria non prevede palline sullo stile dei sorteggi del calcio, ma delle buste in un'urna che contenevano i nomi delle squadre che non si erano qualificate per i playoffs nell'ultima stagione. Per la prima edizione della lotteria nell'urna c'erano sette buste, e ciascuna squadra coinvolta aveva un chiaro obiettivo: Patrick Ewing. Ma per la dirigenza NBA, un conto era se il centro di Georgetown fosse finito a New York, ben altro se ad avere la prima chiamata fosse stata Kansas City, per esempio. Cosí, secondo alcuni "teorici del complotto", la busta con il nome dei Knicks sarebbe stata tenuta in frigo fino a pochi minuti prima del sorteggio, in modo che il commissioner David Stern potesse riconoscerla al tatto e selezionare, come poi fece, la squadra della Grande Mela. "Complotto" o meno, Ewing va a New York, ma nonostante una grande carriera non riuscirà a portare il titolo in città, e in retrospettiva fanno meglio dei Knicks gli Utah Jazz, che con il numero 13 scelgono Karl Malone, che formerà la più letale combinazione di attacco della storia della franchigia con John Stockton, preso l'anno prima.

Il miracolo Villanova

Massimino e i suoi ragazzi festeggiano

Il Torneo del basket apre per la prima volta a ben 64 squadre, e celebra la ricorrenza con una delle più grandi sorprese nella storia dello sport americano: alle Final four di Lexington arrivano ben tre squadre della Big East, i campioni uscenti di Georgetown, con Patrick Ewing tornato per l'ultimo ballo prima della NBA, St. John's di Lou Carnesecca e del talento Chris Mullin, entrambe numero 1 dei rispettivi regional, e Villanova, che invece ha perso 10 volte in stagione regolare e aveva iniziato il Torneo al numero 8 del Southeast regional. E al primo turno rischiano subito di uscire, i Wildcats di coach Rollie Massimino, sfavoriti dal sorteggio e costretti a giocare sul campo di casa dei rivali di Dayton. Solo la grande prova di Ed Pinckney salva Villanova, ma il pronostico sembra chiuso contro la seconda avversaria, la numero 1 del regional e numero 2 della Nazione, Michigan. Ma contro una squadra che ha tra le sue fila sei futuri giocatori della NBA, i Wildcats iniziano la loro clamorosa cavalcata verso il titolo, vincendo 59-55.

Dopo aver superato Maryland della nuova stella Len Bias, Villanova si trova di fronte North Carolina, numero 2 del suo tabellone, e si impone senza problemi, 56-44: i ragazzi di Massimino sono ormai come l'Italia del calcio del 1982, consapevoli dei propri mezzi e pronti a sfatare la favola di Cenerentola che deve andarsene dalla festa prima dell'ultimo ballo. Nella semifinale nazionale superano Memphis state, l'unica estranea al torneo aziendale di fine anno della Big East, e nella finale per il titolo vanno contro Ewing e compagni. La difesa asfissiante a tutto campo di Thompson contro la zona di Massimino, una futura leggenda come Ewing contro lo sconosciuto Pinckney, il centro di Villanova e primo alfiere della storica cavalcata dei Wildcats. Ma la sera del primo aprile, il "giorno dei matti", può capitare che il mondo si rovesci: Villanova gioca la partita perfetta, non va mai in confusione e perde pochissimi palloni, sfianca la difesa degli Hoyas con lunghissimi possessi (per l'ultimo anno si gioca senza cronometro per il tiro), e difende alla grande su Ewing, sempre raddoppiato e quasi mai in grado di smarcarsi, arrivando ai convulsi minuti finali in vantaggio e gestendo la rimonta disperata di Georgetown con grande freddezza ai tiri liberi. Finisce 66-64: Cenerentola ha ballato fino alla fine, realizzando quello che viene ancora oggi ricordata come "The upset", "La vittoria a sorpresa".

Nel football, nasce la rivalità che sarà il marchio di fabbrica della seconda metà degli anni '80: Miami contro Notre Dame. "Catholics vs. convicts", i cattolici contro i galeotti, la tradizione di uno dei programmi di maggior successo di sempre contro l'arroganza degli ultimi arrivati, i cattivi soggetti di Miami, diventata sotto Jimmy Johnson un marchio di fabbrica, "THE U". Miami ha perso la prima partita dell'anno, poi ha malmenato praticamente tutti gli avversari, vincendo anche in trasferta a Oklahoma. Di fronte alla platea di tutta la Nazione, gli Hurricanes tengono fede al proprio soprannome, appunto spazzando via come un uragano i malcapitati Fighting Irish. Finisce 58-7, con Johnson che sarà poi fortemente criticato per aver continuato a segnare nonostante il grande vantaggio. La sua risposta è che agli Hurricanes serviva lasciare una grande impressione per recuperare punti nei rankings, e infatti Miami chiude la stagione regolare al numero 2 dei rankings. Poi però butta via tutto, perdendo malamente il Sugar bowl contro Tennessee.

Brian Bosworth guida la difesa dei Sooners

Il titolo nazionale è in palio quindi nell'Orange bowl, tra la numero 1 Penn State e la numero 3 Oklahoma. Penn State arriva alla finale imbattuta, ma con un calendario meno impegnativo di quello di Oklahoma, che ha perso solo la partita contro Miami, perdendo anche per infortunio il quarterback Troy Aikman. I Sooners sono rimasti a galla grazie a una difesa impenetrabile, guidata da Brian Bosworth, che almeno per quest'anno realizza delle prestazioni adeguate alla boccaccia che si porta dietro. La partita contro Penn State non ha storia: dopo l'iniziale vantaggio concesso ai Nittany lions, la difesa dei Sooners li zittisce completamente, fino al 25-10 finale. Titolo per Barry Switzer e i suoi ragazzi, Heisman trophy al fenomeno Bo Jackson, che però milita in una versione troppo minore di Auburn. Scelto al numero uno assoluto del draft NFL del 1986 da Tampa Bay, sceglierà invece di giocare per i Kansas City Royals del baseball, prima di diventare il primo e penultimo (l'altro sarà Deion Sanders) fenomeno in grado di giocare nello stesso anno tra i pro nel baseball e nel football.

Altri sport

Baltimore supera Oakland nell'ultima finale della USFL

Mal consigliati dall'ultimo arrivato Donald Trump, i proprietari delle squadre USFL decidono di andare in diretta concorrenza con la NFL, e di spostare le attività in autunno, dopo un'ultima stagione estiva: prima conseguenza è che il proprietario dei Philadelphia Stars, sicuro di non poter competere con gli Eagles per il favore del pubblico locale, trasloca la franchigia a Baltimore, ancora addolorata per lo scippo dei Colts. E dopo una stagione regolare non brillante, gli Stars si accendono nei playoffs (a cui partecipano ben 8 squadre su 14..), vincono a New Jersey e Birmingham e superano Oakland nella finale. È l'ultima partita nella storia della "lega alternativa". In difficoltà per il calo di spettatori e, soprattutto, per le scelte dissennate dei dirigenti, la USFL investe tutto il suo futuro nella causa antitrust contro la NFL, accusata di posizione dominante e concorrenza sleale nei grandi mercati televisivi delle sue squadre: a fronte di una richiesta di un miliardo e 690 milioni di dollari di risarcimento, un gran jury riconosce i meriti della causa, ma assegna ai ricorrenti un dollaro di risarcimento, triplicato fino all'insana somma di tre dollari sotto le regole della legge antitrust. Finisce dopo tre stagioni l'avventura del football d'estate.

Wayne Gretzky e gli Edmonton Oilers ci hanno preso gusto, e vincono la Stanley cup per il secondo anno di fila, superando i Philadelphia Flyers 4 gare a una. I Flyers, miglior record della stagione regolare, nulla possono contro Gretzky, MVP della stagione e delle finali.

Chief's crown realizza la triplice corona del galoppo.. ma di piazzamenti: il cavallo è terzo nel Kentucky derby, secondo nelle Preakness e di nuovo terzo nelle Belmont stakes, tutte vinte da tre diversi cavalli. Al Unser senior è il campione cart, ma a Indianapolis vince Danny Sullivan, mentre Darrell Waltrip vince il campionato Nascar, ma non la Daytona 500, che va a Bill Elliott.

Hulk Hogan e Mr. T a Wrestlemania

A fine marzo, al Madison square garden di New York, Vince McMahon mette in scena la prima edizione di Wrestlemania, un evento in pay per view in cui confluiscono i maggiori personaggi e si dipanano le storie in corso nel mondo della WWF, la lega numero uno di wrestling professionistico. Il main event della prima edizione è un incontro di coppia tra Hulk Hogan e Mr. T dell'A-team contro Roddy Piper e Paul Orndorff, con Muhammad Ali arbitro speciale. Tra gli altri protagonisti, il gigantesco Andre the giant (appunto) e la coppia "iraniano-sovietica" Iron Sheik-Nikolai Volkov.

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