Maradona, la mano sinistra di Dio

Il gol di mano di Maradona

L'Italia arriva ai mondiali di calcio in Messico da campione uscente, ma purtroppo, come già successo in passato e come succederà ancora, non è stata in grado di gestire il ricambio generazionale, presentandosi con una squadra con poche individualità di spicco. Dopo aver pareggiato con Bulgaria e Argentina, si qualifica agli ottavi battendo la Corea del sud, con "Spillo" Altobelli cannoniere della prima fase con 4 gol, ma poi incappa nella Francia di Platini, che la rispedisce a casa con un netto 2 a 0. Nella prima fase, impressionano l'URSS di Valerij Lobanovskyj, una macchina da guerra in cui tutti i giocatori corrono al doppio degli avversari per tutta la partita, e la Danimarca di Elkjaer, che ne dà 6 all'Uruguay e dispone agevolmente anche dei tedeschi. Poi, entrambe si inceppano agli ottavi, i sovietici superati dal sorprendente Belgio dell'emigrato italiano Scifo, i danesi sepolti da quattro gol di Emilio Butragueno, alla guida di un quintetto di talenti della cantera del Real Madrid, "la quinta del buitre". DIventati i favoriti del torneo, gli spagnoli cadono subito al turno successivo, proprio contro i sorprendenti belgi.

Abbandonati i Mondiali del 1982 in lacrime dopo l'espulsione contro il Brasile, Diego Maradona si prende la sua clamorosa rivincita conducendo per mano l'Argentina al titolo. La partita simbolo del torneo è quella dei quarti contro l'Inghilterra: anche per quello che c'è stato fra le due nazioni pochi anni prima nelle Isole Falklands, non è una semplice partita di pallone. In pochi minuti, Maradona mostra entrambi i lati del suo gioco e della sua personalità: prima quello furbo, malizioso e anche un po' carogna, quando anticipa Shilton in uscita segnando un gol di mano che solo il guardalinee e l'arbitro non vedono. Poi, quello funambolico, geniale, che solo il più grande giocatore della storia dopo Pelè poteva mostrare, quando si fà metà campo palla al piede, dribbla mezza difesa inglese e deposita in rete il gol più bello della storia del calcio.

Passato lo scoglio inglese, l'Argentina elimina facilmente il Belgio in semifinale e doma la Germania di Rummenigge in finale, 3 a 2, non prima però che i tedeschi rimontino dallo svantaggio iniziale di due gol, prima di cedere alla rete decisiva di Burruchaga. È la consacrazione di uno dei campioni massimi dello sport, un personaggio tanto criticabile e criticato per quanto ha fatto fuori dal campo, quanto assolutamente incontestabile e ammirato per quello che ha saputo fare con un pallone fra i piedi, che negli anni seguenti renderà pazza di gioia Napoli e farà infuriare tutto il resto d'Italia, nella fatale semifinale dei mondiali del 1990.

Il ciclone Tyson

Tyson contro Berbick

Il 22 novembre, battendo per k.o. alla seconda ripresa il detentore del titolo Trevor Berbick, diventa il più giovane campione del mondo della storia dei pesi massimi di pugilato Mike Tyson, destinato a diventare uno dei più controversi personaggi della storia dello sport. Cresciuto nei classici "quartieri difficili", coinvolto in decine di piccoli furti e taccheggi, Tyson deve la svolta della sua vita all'incontro con l'allenatore Cus D'Amato, che lo preleva dal riformatorio e gli insegna a incanalare la sua rabbia tra le corde di un quadrato, dove sarebbe addirittura stato pagato per fare quello che già faceva in strada. Grazie a quello che reputerà sempre come il proprio vero padre, Tyson diventa una macchina da guerra, infila vittorie per ko una dopo l'altra e in poco più di un anno e mezzo da professionista arriva al match per il titolo, contro Trevor Berbick, che batte per ko alla seconda ripresa. Dopo 9 difese della corona, perderà il titolo contro Buster Douglas, lo riconquisterà per perderlo ancora, contro Evander Holyfield, a cui nel rematch strapperà un orecchio con un morso. Le storie di droga, il processo per l'accusa di violenza da parte della modella Desiree Washington, i problemi finanziari e le continue visite in clinica di disintossicazione: 30 anni dopo la sua fulminea ascesa al trono dei massimi, Tyson è ancora un'anima in pena che trova sollievo solo nel suo particolare passatempo, l'allevamento di piccioni.

In un anno non eccezionale per lo sport italiano, si salva Moreno Argentin, che vince il campionato mondiale di ciclismo a Colorodo Springs, in America. Il bresciano Roberto Visentini vince il giro d'Italia, Greg Lemond conquista il Tour de France, dimostrando che il ciclismo è ormai sport globalizzato. Il compianto Toivonen Nei motori, la Williams domina il Mondiale di formula 1, ma sia Piquet che Mansell fanno la figura dei polli, quando a causa di problemi ai pneumatici nell'ultimo gran premio dell'anno in Australia lasciano campo libero a un incredulo Alain Prost su McLaren. La stagione del rally inizia con la grande vittoria di Henri Toivonen a Montecarlo sulla nuova creazione della Delta, la potente S4, poi viene funestata dalla tragedia. Prima, al rally di Portogallo, tre spettatori rimangono uccisi e 30 feriti quando Joaquim Santos perde il controllo della sua Ford RS200, poi al rally di Corsica, a un anno esatto dalla morte di Bettega, è proprio Toivonen a perdere la vita insieme al copilota Sergio Crespo, precipitando da un burrone. Dopo queste tragedie, finalmente la FISA decide di porre un freno allo sviluppo sconsiderato delle mostruose "Gruppo B", emanando nuove specifiche per macchine molto meno esasperate. L'ultimo titolo mondiale delle supercar va a Juha Kankkunen, sulla Peugeot 205.

Eddie Lawson

Con Freddie Spencer fuori gioco a causa della tendinite, vince il mondiale di motociclismo nella classe regina Eddie Lawson su Yamaha, primo in ben 7 gran premi. Il venezuelano Carlos Lavado è campione nella 250, Luca Cadalora succede a Fausto Gresini nel titolo 125: entrambi i piloti italiani corrono su Garelli.

Lendl in azione

Nel tennis, non si disputano gli Australian open: per consentire, infatti, al torneo di essere ricollocato a gennaio, dopo l'edizione di dicembre 1985 si passa direttamente a gennaio 1987. Nei tornei dello Slam regolarmente disputati, Ivan Lendl, da tempo numero 1 del ranking, vince a Parigi contro lo svedese Pernfors, e agli US Open contro il sorprendente connazionale Miroslav Mecir, e si arrende solo in finale a Wimbledon, contro Boris Becker che rivince il prestigioso torneo a soli 18 anni. A fine anno Lendl conclude la sua mostruosa annata vincendo anche i Masters, anche se, come sintetizza con un titolo azzeccato Sports Illustrated, è "il campione di cui nessuno si interessa", per il suo tennis quasi robotico e l'assoluta mancanza di simpatia. Tra le donne, Chris Evert supera Martina Navratilova a Parigi, poi Martina infila il suo quinto Wimbledon consecutivo, a cui aggiunge gli US Open.

Jack Nicklaus vince il suo 18esimo major

Nel golf, monumentale impresa di Jack Nicklaus, che a 46 anni vince il suo 18esimo e ultimo major, i Masters di Augusta. Le ultime 10 buche dell'"orso d'oro" sono materiale da leggenda: dopo la 8, Nicklaus è solo in ottava posizione, a ben 6 colpi da Ballesteros, che aveva appena infilato un eagle. Da lí, inizia l'incredibile rimonta: tre birdie di fila per andare a meno 5 e portarsi in terza posizione a due colpi da Ballesteros, poi un bogey, un birdie e un par che lo riportano a 4 colpi dal leader con sole 4 buche da giocare. Ma di nuovo una striscia incredibile, eagle e doppio birdie, e alla 17 Nicklaus è in testa, appaiato a Greg Norman, mentre Ballesteros scivola a meno 7 a causa di due bogey. Alla buca 72, Nicklaus realizza un par, ma Greg Norman, mostrando ancora una volta perchè è stato un grandissimo campione ma ha vinto solo due majors in carriera, chiude con un bogey, consentendo al campionissimo americano di chiudere la carriera con l'ennesimo trionfo.

Si abbatte sulle piste di galoppo europee il ciclone Dancing brave, che vince le 2000 Ghinee, le Eclipse Stakes, le King George e Queen Elizabeth Stakes e in autunno anche l'Arc de Triomphe. In una stagione per i libri di storia, perde solo di mezza lunghezza il Derby di Epsom, per una tattica sbagliata del suo fantino, che lo aveva messo troppo nelle retrovie. Ai mondiali di nuoto di Madrid, dominio assoluto delle tedesche dell'est, con Kristin Otto e Heike Friedrich che vincono quattro ori. Gli americani dominano le gare veloci maschili con Matt Biondi e Tom Jager, l'ungherese Tamas Darnyi è il re dei misti. L'Italia chiude con tre argenti, due in piscina con la sorpresa Stefano Battistelli nei 1.500 stile libero e con Gianni Minervini nei 100 rana, il terzo con la squadra maschile di pallanuoto, sconfitta in finale dalla fortissima Jugoslavia.

A tutto calcio

Partenze, scambi e debutti nel campionato di serie A: sparisce quasi del tutto la colonia brasiliana, rappresentata dal solo Cerezo alla Roma, che si rinforza acquistando Boniek dalla Juventus. I bianconeri cedono Paolo Rossi al Milan e Tardelli all'Inter, acquistando Serena e ringiovanendo l'attacco con l'arrivo del danese Miki Laudrup. La Fiorentina lancia due giovanissimi, Nicola Berti e Roberto Baggio. Tutti questi movimenti non spostano il bilancio di forza, infatti è ancora il duello Roma-Juve a monopolizzare la corsa scudetto. In realtà, non è un braccio di ferro immediato, in quanto la Juventus parte a razzo e al termine del girone d'andata è nettamente in testa con 26 punti su 30, sconfitta solo a Napoli da una magia di Maradona. La punizione vincente di Maradona Proprio il Napoli è secondo a metà campionato, ma con 6 punti di ritardo, con la Roma a 18. Ma poi la Juve si addormenta, con 5 pareggi e una sola vittoria in 6 partite, proprio quando la Roma di Eriksson e del bomber Pruzzo (5 gol contro l'Avellino) comincia a correre, con 6 vittorie di fila.

I giallorossi rimontano punto su punto, vincono lo scontro diretto all'Olimpico e a due giornate dalla fine effettuano l'aggancio. Poi, dopo aver dipinto la Gioconda, la sfregiano con un temperino: alla penultima giornata, un agevole impegno casalingo si trasforma in atroce beffa, con il Lecce che passa 3 a 2 all'Olimpico, mentre la Juventus supera il Milan. All'ultima giornata, i giallorossi ormai disperati perdono addirittura a Como, mentre i bianconeri vanno a vincere, guarda un po', proprio a Lecce, conquistando il loro ventiduesimo campionato. Una nuova tranche delle indagini sulle scommesse portano prima alla retrocessione dell'Udinese, poi convertita in pesante penalizzazione di 9 punti.

Ducadam eroe della coppa campioni della Steaua

Per la serie "Eroi per un giorno", vince il premio per il 1986 il portiere della Steaua Bucarest, Ducadam, che nella finale di Coppa dei campioni neutralizza tutti e 4 i calci di rigore tirati dal Barcellona, regalando un'insperata vittoria alla propria squadra. La Dinamo Kiev di Lobanowsky vince la Coppa delle coppe, portando cosí sul trono europeo il calcio dell'est, mentre dopo la rapina a mano armata dell'anno prima, quest'anno il Real Madrid supera l'Inter in semifinale di Coppa Uefa con lesioni varie, costringendo all'uscita anticipata nella gara di ritorno a Madrid Altobelli e Rummenigge e lasciando l'Inter con Marini (!!) centravanti. In finale, gli spagnoli non hanno problemi con il Colonia e rubano l'ennesima coppa. A fine anno, gli argentini del River Plate concludono alla grande l'anno d'oro del calcio per il loro Paese, battendo la Steaua nella finale della coppa intercontinentale.

Pianeta USA

Cosi' vicini, cosi' lontani

La palla maledetta di Buckner

Vanno in scena i playoff più drammatici della centenaria storia del baseball: nella National league, i Mets affrontano gli Astros di quello che è diventato nel corso dell’anno la loro nemesi, il lanciatore Mike Scott. Pitcher mediocre fino al 1984, Scott ha trovato una nuova dimensione grazie a un nuovo lancio, la split finger fastball, una palla veloce con tremendo movimento verticale che ha reso il lanciatore di Houston un'arma letale, facendogli vincere il Cy Young award nel 1986, sulla scorta di 18 vittorie e ben 306 strikeout. Troppo, secondo tanti, tra cui i Mets, che non esitano a indicarlo come maestro di ben altra materia, quella della manipolazione della palla. Ma un conto è dire, un altro provare: Scott tramortisce Strawberry e soci con due partite da fuoriclasse in gara 1 e 4, due partite complete in cui concede agli avversari la miseria di 8 valide e un punto, eliminandone 19 al piatto. Per loro fortuna, i Mets sono stati capaci di disinnescare gli altri lanciatori di Houston, tra cui Nolan Ryan, vincendo faticosamente gara 5 al dodicesimo inning, ma sanno che se perdono gara 6, il giorno dopo si troveranno di nuovo di fronte Scott. Sotto 3 a 0 nel nono inning, i Mets riescono miracolosamente a pareggiare, poi in un’altalena di emozioni, passano in vantaggio nel quattordicesimo inning, vengono raggiunti, ma ne segnano tre nel sedicesimo inning, prima che Houston quasi realizzi un pareggio miracoloso nel proprio turno di attacco. Finisce 7-6, i "Bad boys" di New York riescono finalmente a centrare il pennant.

Nell'American league, i California Angels sono comodamente in vantaggio contro Boston, 3 partite a 1 e 5-2 in gara 5, poi 5-4 con due eliminati nel nono inning, quando ricorrono al lanciatore di rilievo Donnie Moore per ottenere l’ultima eliminazione della serie. Ma Moore, affidabile per tutta la stagione, concede ai Red Sox un fuoricampo da 2 punti, poi pareggiato nel nono attacco degli Angels. Moore rimane in campo, e nell'undicesimo inning concede un altro punto a Boston, quello decisivo. Sulle ali dell'entusiasmo, i Red Sox vincono agevolmente gara 6 e 7, portando a casa il titolo dell'American league. Gli sbagli nei momenti decisivi della carriera saranno la causa determinante del suicidio del lanciatore degli Angels due anni dopo. Nelle World series, Bruce Hurst lancia meglio del fenomeno Dwight Gooden ed è la causa principale del vantaggio di Boston, avanti 3 partite a 2 e 5-3 a metà del decimo inning di gara 6. I Red Sox arrivano due volte ad un solo strike dalle loro prime World series in 68 anni, ma New York riesce di nuovo miracolosamente a pareggiare il conto. In prima base per Boston c'è il veterano Bill Buckner, di solito sostituito dal suo manager negli ultimi inning per far riposare le sue ginocchia reduci da varie operazioni chirurgiche. Ma stavolta John McNamara non ha provveduto al cambio, per lasciare in campo fino a quello che sembrava il momento del trionfo il suo veterano. Ovvio, quindi, che su una battuta rotolante la palla rimbalzi sotto il guantone di Buckner e rotoli beffarda in campo, regalando la miracolosa vittoria a New York, che sulle ali dell'entusiasmo vince anche gara 7 e la più incredibile delle finali della storia della MLB, facendo diventare un paria in tutto il New England il povero Buckner.

Il ruggito degli orsi

Walter Payton stella dei Bears

E' l'anno dell'orso: con una linea difensiva feroce, tanto che i suoi componenti saranno chiamati "Monsters of the midway", e un attacco bilanciato, che si affida alla grandezza di Walter Payton e alle invenzioni geniali di Jim McMahon, i Chicago Bears della stagione 1985-86 sono tra le squadre più forti di tutti i tempi. Guidati da Mike Ditka, che per dare sale alle partite litiga spesso e volentieri con il suo indisciplinato quarterback, i Bears sono soprattutto la creatura del defensive coordinator Buddy Ryan, che può contare sulla leadership del difensore dell'anno Mike Singletary e sull'impatto devastante del tackle matricola William "The refrigerator" Perry. I Bears sono un rullo compressore: perdono solo una volta nella stagione regolare, a Miami nella tredicesima settimana, chiudendo con 15 vittorie e una sconfitta, poi approfittano del fattore campo per arrivare al Superbowl, dopo due impressionanti vittorie contro Giants e Rams, entrambe tenute a zero punti. Ma al Superbowl, al Superdome di New Orleans, non si trovano di fronte i Dolphins, per l'agognata rivincita, bensí i sorprendenti New England Patriots, che partiti dalla wild-card hanno vinto tre volte in trasferta per raggiungere la finale. Purtroppo, non c'è partita: dopo l'iniziale vantaggio per i Patriots con un field goal, Chicago segna 44 punti di fila, fino al finale di 46 a 10. Va in meta anche il gigantesco Perry, spesso usato da Ditka in attacco come fullback. I Bears realizzano vari record, tra cui sack del quarterback avversario, ben 7, yards su corsa concesse, ancora 7, e margine di vittoria, 36 punti. MVP della partita è il defensive end Richard Dent, che mette a segno un sack e mezzo, forza due fumble e blocca un passaggio. I Bears sembrano in grado di aprire una dinastia, ma non sarà cosí.

Larry contro le torri, Dio col numero 23

Larry Bird contro i Rockets

Tutti si aspettano un'altra sfida tra Larry Bird e Magic Johnson, e almeno nella stagione regolare i due non deludono: i Celtics vincono ben 67 partite e sono primi all'Est, i Lakers arrivano a 62 e vincono l'Ovest. Va per la prima volta ai playoff Michael Jordan, che si trova di fronte proprio Boston al primo turno, e in gara due, al Garden, mette in scena una delle sue prime partite da leggenda: 63 punti, che purtroppo per lui non bastano a evitare la sconfitta al secondo supplementare, ma lasciano tifosi e addetti ai lavori attoniti, tanto che lo stesso Bird dirà: "Era Dio, vestito da Michael Jordan". Ma i Bulls sono ancora troppo poco oltre a Jordan, e i Celtics se ne sbarazzano in sole tre gare, poi ne lasciano solo una ad Atlanta e alla sua superstar Dominique Wilkins, "The human highlight film" come lo chiamano per le sue schiacciate spettacolari, e arrivano in finale superando Milwaukee 4-0.

All'Ovest, i Lakers sembrano ben avviati verso la difesa del titolo, superando facilmente San Antonio e con qualche patema in più Dallas, ma poi in finale di conference si imbattono nelle "torri gemelle" di Houston, Sampson e Olajuwon. I Lakers vincono gara 1, ma poi il dominio sotto i tabelloni della più incredibile coppia di lunghi della storia del gioco si fa devastante: Houston vince tre gare di fila, e con gara 5 in parità nei secondi finali, Ralph Sampson segna sulla sirena, eliminando i campioni in carica. Nelle finali, la giovane squadra texana offre una valida resistenza a Boston, ma i Celtics hanno molti più lunghi da opporre a Sampson e Olajuwon, anche il "vecchio" Bill Walton, che da panchinaro di lusso offre un valido ricambio a Parish e McHale. Il Boston Garden, poi, è un fortino inespugnabile in cui i Celtics hanno perso una sola volta nella stagione regolare, e con un Larry Bird in gran spolvero, che viaggia a medie da "tripla doppia", i biancoverdi portano a casa il sedicesimo titolo, vincendo 4-2. Grazie a una accorta serie di scambi, i Celtics hanno anche la seconda scelta assoluta al draft, con cui selezionano la stella di Maryland, Len Bias: sembra l'inizio di una dinastia, a Boston. Invece, la tragica morte per overdose di Bias due giorni dopo il draft è quasi un segno del destino per i biancoverdi, che non rivinceranno un titolo prima del 2008.

Pervis guida i Cardinals

I Cardinals campioni NCAA

Le 4 finaliste del Torneo di basket si danno appuntamento alla Reunion arena di Dallas: sono Duke e Kansas, numero 1 dei rispettivi regionals, Louisville, numero 2, e la sorprendente LSU, numero 11 del proprio regional, la prima squadra a raggiungere le finali avendo eliminato le prime tre teste di serie del proprio tabellone. È stato un torneo ricco di sorprese, con la prima volta di due numero 14 che battono due numero 3, Cleveland state e Arkansas Little Rock, e con la numero 7 Navy che guidata dall"Ammiraglio", David Robinson, raggiunge la finale del regional, perdendo da Duke. Per la squadra di Mike Krzyzewski è la prima di ben 11 partecipazioni alle Final four. Nel primo torneo ad usare il cronometro per le azioni, al momento fissato a 45 secondi, si affrontano in finale Duke, che supera Kansas, e Louisville, che ferma la magica corsa di LSU.

Pervis Ellison è la stella intorno a cui ruota la squadra di Danny Crum, i Louisville Cardinals, Johnny Dawkins il leader di quella di "Coach K": in finale, Ellison rispetta il suo soprannome, "Never nervous", e fà fronte alla serata poco fortunata dei suoi compagni di squadra, che soffrono il pressing di Duke e hanno ben 24 palle perse. 25 punti, 11 rimbalzi e 2 stoppate nel ruolino di Ellison, mentre Dawkins, pur realizzando 24 punti, non segna neanche un canestro negli ultimi 13 minuti. In svantaggio 63-60 a 5 minuti dalla fine, i Cardinals rimontano e vincono 72-69: dopo 21 vittorie consecutive, la striscia di Duke finisce proprio sul più bello. Al draft di giugno, Cleveland ha la prima scelta e a sorpresa seleziona Brad Daugherty da North Carolina, lasciando su un piatto d'argento la superstar Len Bias a Boston. Ma due soli giorni dopo il draft, la vita di Bias ha tragicamente fine a soli 23 anni, per un'overdose che stronca la vita di quello che era già stato etichettato come la risposta a Michael Jordan.

Penn state batte a sorpresa Miami nel Fiesta bowl

Nel football, Oklahoma inizia la stagione da numero uno e decisa a ripetere il titolo dell'anno prima, ma per i Sooners è fatale la sconfitta contro Miami alla terza settimana. La squadra di Johnson va al numero uno dei rankings e con una stagione da imbattuta arriva alla partita per il titolo. Avversari degli Hurricanes nel Fiesta bowl che assegna il campionato sono i Penn state Nittany Lions di Joe Paterno, numeri due delle classifiche grazie a una importante vittoria in trasferta ad Alabama. Il 2 gennaio 1987, a Tempe in Arizona arrivano due squadre molto diverse: una, Penn state, disciplinata fin quasi alla noia, l'altra, Miami, ormai talmente presa dal proprio marchio di "cattiva" che i giocatori sono arrivati all'aeroporto in tuta mimetica e pose da gangsta rapper, pronti per andare alla guerra contro una delle squadre più rappresentative del vecchio football. Con un attacco che annovera il vincitore dell'Heisman trophy Vinnie Testaverde, la futura superstar NFL Michael Irvin e il running back Alonzo Highsmith, Miami è l'ovvia favorita, e i numeri della partita descrivono un dominio degli Hurricanes, 445 yards contro 162, 22 primi down contro soli 8 per Penn state. Un massacro? No, perchè Miami perde nettamente la battaglia delle palle perse, addirittura 7, di cui 5 causate dal solo Testaverde, un pianto. A sorpresa, finisce 14-10 per Penn state, con l'ultimo gioco, il tentativo della disperazione di Testaverde, che finisce, in modo appropriato, con un intercetto.

Altri sport

Dale Earnhardt, "The intimidator", vince il suo secondo campionato Nascar, ma non Daytona, dove continua una striscia nera che durerà fino al 1998: appaiato a Geoff Bodine, che poi vincerà, fino a tre giri dalla fine, Earnhardt è costretto ai box per un rifornimento, e al rientro vede il motore scoppiare, insieme al suo sogno di vincere Daytona. Riesce invece a Bobby Rahal l'accoppiata Indianapolis 500 - campionato Cart, con la corsa più prestigiosa della stagione posticipata di una settimana a causa di un diluvio. Rahal dedica la vittoria a Indianapolis a Jim Trueman, proprietario della scuderia per cui correva, malato terminale di cancro, che morirà 11 giorni dopo la corsa.

Prima Stanley cup per Patrick Roy

Nella NHL, Stanley cup tutta canadese, ma senza gli Edmonton Oilers. Si affrontano la tradizione dei Montreal Canadiens, alla loro 32ima finale, e la novità Calgary Flames, alla loro prima Stanley cup. Gli Oilers erano stati eliminati al secondo turno dai Flames, loro corregionali, al termine di una maratona di 7 partite: gara 7 è decisa da uno dei più incredibili autogol della storia, uno svarione tra il difensore degli Oilers Smith e il proprio portiere, Grant Fuhr. Nella finale non c'è mai storia, anche se tre delle quattro partite vinte da Montreal terminano con un solo gol di scarto. MVP delle finali è il portiere dei Canadiens, Patrick Roy, al suo primo anno pieno in NHL, che avrà una carriera ineguagliabile nel suo ruolo.

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