Lewis, il figlio del vento

Lewis in azione nel lungo

Presentatosi al mondo con i tre ori vinti ai Mondiali di Helsinki dell'anno prima, il 23enne Carl Lewis entra nella storia dello sport olimpico, vincendo a Los Angeles 4 medaglie d'oro, tante quante le aveva vinte il suo grande maestro Jesse Owens 48 anni prima alle olimpiadi di Berlino, e nelle stesse gare: 100 metri, 200, salto in lungo e staffetta 4X100. Aiutato da un calendario degli eventi costruito su misura per consentirgli di riprendersi dai vari sforzi, Lewis domina tutte le competizioni e diventa, ovviamente, l'uomo copertina di una delle più belle edizioni dei Giochi estivi, se non si considera il boicottaggio del blocco dei paesi dell'Europa dell'est.

Uno dei soli 4 atleti a vincere 9 medaglie d'oro olimpiche, Carl Lewis entrerà definitivamente nella leggenda alle Olimpiadi: oro di nuovo a Seul nei 100 metri (dopo la squalifica di Ben Johnson) e nel salto in lungo, nella staffetta e di nuovo nel lungo a Barcellona, e infine, per la quarta volta nel lungo, anche ad Atlanta nel 1996, dimostrando una capacità di restare ai livelli massimi per un periodo di tempo cosí lungo che non ha avuto eguali nella storia.

L'olimpiade d'oro dell'Italia

L'8 febbraio iniziano a Sarajevo i Giochi olimpici invernali, in una splendida città che dopo pochi anni conoscerà la distruzione di una tremenda guerra civile, i primi dell'era di Juan Antonio Samaranch presidente del CIO. Il personaggio dei Giochi è la fondista finlandese Marja-Liisa Hamalainen, che vince tutte e tre le medaglie d'oro individuali del fondo, più il bronzo della staffetta. Unica atleta a partecipare a 6 Olimpiadi, a Lillehammer nel 1994 diventerà a 38 anni anche la più "vecchia" vincitrice di medaglie olimpiche individuali. Impresa della Magoni a Sarajevo Nel pattinaggio, la coppia inglese Torvill-Dean conquista il massimo dei voti nel giudizio artistico, interpretando il Bolero di Ravel, mentre incanta il mondo con la sua grazia la 19enne tedesca dell'est Katarina Witt, oro nell'individuale femminile.

I fratelli Phil e Steve Mahre sono oro e argento nello slalom dello sci alpino, mentre con una clamorosa rimonta in mezzo alla nebbia Paoletta Magoni conquista l'oro nello slalom femminile. Grande sorpresa anche nella regina delle gare alpine, la discesa libera maschile, vinta dallo statunitense Bill Johnson, mentre le favorite svizzere Michela Figini e Maria Walliser fanno doppietta in quella femminile. L'Italia chiude con due sole medaglie, per fortuna d'oro: a quella della Magoni si aggiunge anche Paul Hildgartner nello slittino.

L'arrivo vittorioso dei fratelloni

I Giochi estivi vanno invece in scena a Los Angeles, dove nonostante il boicottaggio "di ripicca" dei Paesi del blocco sovietico, una presenza record di 140 Nazioni nobilita i Giochi. Eroe di questa edizione, come detto sopra, è Carl Lewis, mentre l'Italia ottiene una straordinaria messe di medaglie, ben 32, di cui addirittura 14 d'oro. Alberto Cova ripete la volata d'oro di Helsinki nei 10.000, Gabriella Dorio vince a sorpresa i 1.500 metri dell'atletica femminile, il colosso Alessandro Andrei il lancio del peso. L'Italia scopre il pentathlon moderno con Daniele Masala e la lotta greco-romana con "Pollicino" Maenza, applaude le vittorie della scherma, del ciclismo, e del tiro, e soprattutto si esalta con Bisteccone Galeazzi a bordo del 2 con dei fratelloni Abbagnale da Castellamare di Stabia.

Il drammatico arrivo della Schiess

L'arrivo della prima edizione della maratona olimpica femminile fà rivivere il dramma di Dorando Pietri, con la svizzera Gabriela Scheiss che, colpita da un'insolazione, entra traballante al Coliseum e percorre l'ultimo giro di pista in più di 5 minuti, crollando esausta dopo il traguardo. Sebastian Coe è il primo atleta a vincere l'oro dei 1.500 metri dell'atletica in due edizioni consecutive dei Giochi, mentre l'americano Greg Louganis vince nei tuffi sia dal trampolino che dalla piattaforma. Un giovane neozelandese, Russell Coutts, è campione olimpico nella vela, classe finn, Michael Jordan guida la Nazionale americana di basket al successo olimpico prima di entrare nei pro. Il ginnasta cinese Li Ning incanta tutti con le sue evoluzioni, vincendo tre medaglie d'oro.

Al di fuori delle Olimpiadi, è l'anno in cui Niki Lauda vince il Mondiale di formula 1 precedendo Prost di.. mezzo punto!! Succede infatti che a Montecarlo il gran premio si disputa sotto un diluvio universale, che costringe gli organizzatori a sospendere la gara ben prima dei 2/3 dei giri previsti dal regolamento. Prost vince, ma si deve accontentare di 4,5 punti, Lauda è terzo e ne prende 2: 5 punti teorici di distacco diventano solo 2,5. In mezzo ai due, a Montecarlo arriva il giovane brasiliano Ayrton Senna Da Silva, che partito sedicesimo con la poco competitiva Toleman aveva ormai ripreso anche Prost. L'Audi fa l'accoppiata nei mondiali rally, con la Quattro di Stig Blomqvist che precede quella del compagno di squadra Hannu Mikkola. Nel finale di stagione, meraviglia tutti la sfida francese della Peugeot 205 di Ari Vatanen, che vince tre rally. Lo guida dal parco assistenza il francese Jean Todt. Nel tennis, John McEnroe ripete l'accoppiata Wimbledon-US Open, mentre stavolta il grande Slam sfugge a Martina Navratilova a fine stagione, con la sconfitta in semifinale agli Australian Open, vinti da Chris Evert. Nel basket, il Bancoroma di Larry Wright e del "vate" Bianchini è campione d'Europa, al termine della finale tutta italiana contro Milano, mentre nella pallavolo Parma pone fine al dominio della CSKA Mosca vincendo la coppa dei campioni maschile.

Francesco Moser inizia l'anno in Messico, dove grazie anche all'altura e alle nuove ruote lenticolari porta il record dell'ora di ciclismo in pista all'incredibile distanza di 51,151 chilometri. In un anno trionfale, l'atleta trentino conquista finalmente anche il Giro d'Italia, e in autunno vince la Milano-Sanremo. Il Tour de France va invece alla grande speranza francese Laurent Fignon, il mondiale su strada al belga Claude Criquielion, che precede il nostro Claudio Corti. Severiano Ballesteros conferma il suo status di numero 1 del golf vincendo l'edizione numero 113 dell'Open championship a St. Andrews, in Scozia.

A tutto calcio

Zico in una delle sue punizioni

Juventus e Roma sono ancora una volta le protagoniste della lotta scudetto, con la Fiorentina che dopo un buon avvio si sgonfia quando il capitano Giancarlo Antognoni si frattura tibia e perone in uno scontro di gioco con il difensore della Sampdoria Pellegrini. Il titolo mondiale vinto dall'Italia ha contribuito a rendere l'Italia meta privilegiata per i calciatori stranieri: la Juve conta sul duo Platini-Boniek, la Roma ha Falcao e Cerezo, l'Udinese addirittura Zico, e a luglio, dopo un colpo di mercato che non ha eguali nella storia, il Napoli presenta in un San Paolo gremito di tifosi Diego Armando Maradona, strappato al Barcellona per 13 miliardi. Solo il Milan (Gerets-Blissets) e l'Inter (Muller-Coeck) non hanno stranieri adeguati agli obiettivi e al blasone. Il braccio di ferro Juve-Roma termina dopo lo scontro diretto all'Olimpico del 15 aprile: i giallorossi non riescono a sfruttare la partita in casa, e il pareggio per 0-0 lancia i bianconeri verso lo scudetto. Platini supera Zico nella classifica dei marcatori, e grazie agli Europei che vincerà in estate con la sua nazionale, a fine anno è pallone d'oro.

Alla fase finale degli Europei, appunto, partecipano 8 nazionali, con l'Italia campione del mondo clamorosamente assente dopo un girone di qualificazione fallimentare. Vanno in semifinale la Francia di Platini, la Danimarca di Preben Elkjaer Larsen, a breve sui campi italiani, la Spagna e il Portogallo. In semifinale, sofferta vittoria dei francesi sul Portogallo per 3 a 2 dopo i supplementari, con i galletti che a 6 minuti dalla fine perdevano 2 a 1, e vittoria ai rigori della Spagna sulla Danimarca. La finale è decisa dai gol di Platini e di un altro emigrato italiano, Bellone.

Grobbelaar batte la Roma

Nelle competizioni per club, la Roma ha la grande possibilità di alzare in casa la Coppa dei campioni, ma si fà irretire dal Liverpool e porta la finale ai rigori, dove i campioni del mondo Conti e Graziani si fanno ipnotizzare dalle mattane del portiere dei Reds, Grobbelaar. Comincia la lunghissima stagione della maledizione dei rigori per il calcio italiano. La Juve fa accoppiata con lo scudetto, vincendo a Basilea la finale di coppa delle coppe contro il Porto, per 2 a 1, con i gol di Vignola e Boniek. La coppa Uefa va invece al Tottenham, che supera ai rigori l'Anderlecht dell'italo-belga Vincenzo Scifo dopo che entrambe le partite erano finite 1 a 1. A fine anno, l'Independiente de Avellaneda perpetua la maledizione della coppa intercontinentale per le squadre europee, battendo il Liverpool 1-0.

Pianeta USA

L'anno della tigre

Alan Trammell

Grandi veterani, grandi debuttanti: Reggie Jackson mette a segno il fuoricampo n. 500, 13 anni esatti dopo il suo debutto, Pete Rose la valida n. 4.000, 21 anni esatti dopo la sua prima partita, mentre il rookie dei Mets Dwight Gooden prende letteralmente a pallate tutta la lega: 32 strikeout per lui in due gare successive, un record per un debuttante di 276 in stagione. È l'ovvio rookie of the year, e insieme al precedente vincitore del premio, il compagno di squadra Darryl Strawberry, si appresta a portare in cima i New York Mets. Tra l'8 e il 9 maggio, i Brewers e i White Sox si pareggiano per 25 inning, finchè Harold Baines dei Sox mette fine all'incontro con un fuoricampo: 8 ore e 6 minuti per la partita più lunga della storia delle Majors. Non succede spesso, ma a volte capita che la squadra migliore vinca il campionato: succede quest'anno ai Detroit Tigers del pitcher Jack Morris, del vincitore del Cy Young award e MVP Willie Hernandez e dell'MVP delle finali Alan Trammell, guidati in panchina dallo skipper Sparky Anderson, già creatore della "Big red machine" a Cincinnati. I Tigers vincono 104 partite in stagione regolare, poi rullano gli Orioles nella finale dell'American league, anche se gara 3 finisce solo 1-0.

La National league è in palio tra i Cubs dell'MVP Ryne Sandberg e i Padres del re della battuta Tony Gwynn e di Steve Garvey: i Cubs vincono le prime due partite e sembrano pronti a riprovarci nelle World Series. Ma con i Cubs, mai dire mai: sfruttando anche il formato della Serie, che dopo le prime due gare a Chicago ne prevede tre a San Diego, i Padres rimontano e finiscono per vincere il pennant. Nelle World Series, sembra proprio che la "big red machine" si sia trasferita a Detroit: dopo aver perso gara 1, i Tigers diventano una macchina da guerra, con Trammell che praticamente vince da solo gara 4 con due furicampo, imitato da Kirk Gibson nella successiva gara 5, in cui Detroit chiude la Serie e riporta il titolo a casa dopo 16 anni, ad oggi l'ultimo titolo della squadra.

Il trasloco dei Colts, il volo di Marcus Allen

I Colts traslocano

Nelle prime ore del 29 marzo 1984, il proprietario dei Baltimore Colts Robert Irsay mette in atto quello che minacciava ormai da anni, trasferendo tutte le attrezzature, le uniformi, le insegne e i mezzi della squadra a Indianapolis: in rotta di collisione da più di un decennio con l'amministrazione pubblica di Baltimore e con quella statale del Maryland, che continuavano a promettere un adeguamento del vecchio Memorial Stadium, senza poi mantenere le promesse, Irsay, che aveva avuto contatti soprattutto con Phoenix e Indianapolis, trasloca in una notte tutta la franchigia in Indiana, nella città che gli aveva costruito un nuovissimo impianto, l'Hoosier dome. Una città storica per la NFL come Baltimore rimane da un giorno all'altro senza squadra, e cosí resterà fino al 1996, quando, in un completo ribaltamento di ruoli, accoglierà da Cleveland i Browns, anche loro strappati dalle radici storiche della città in cui avevano da sempre giocato. Sul campo, in autunno, I Washington Redskins dell'MVP Joe Theismann onorano il titolo con una stagione da 14 vittorie che li proietta al numero 1 della NFC per i playoffs. I Raiders sono la numero 1 della AFC e si mettono in pole per una rivincita della finale dell'anno prima, finendo la stagione regolare con 12 vittorie, come i Miami Dolphins, che guidati dal rookie fenomeno Dan Marino chiudono la stagione con una striscia di 5 vittorie. Nei playoffs della NFC, la numero uno e la numero due arrivano in finale, ma in modo diverso: Washington sulla scia di una prestazione mostruosa contro i Rams, sepolti con un eloquente 51-7, San Francisco dopo essere scampata per miracolo a una sconfitta in casa contro Detroit, che perde 24-23 a causa di un field goal sbagliato dal kicker Eddie Murray a 5 secondi dalla fine.

Marcus Allen in azione

Anche i numeri uno della AFC raggiungono la partita per l'accesso al Superbowl: i Raiders superano senza problemi Pittsburgh 38-10. Non troveranno di fronte, però, i Dolphins, battuti in casa 27-20 dai Seattle Seahawks, che approfittano di 5 palle perse di Miami, compresi due intercetti di Marino. La finale della NFC è un classico, anzi, "The forgotten classic": i Redskins vanno avanti 21-0, poi nell'ultimo quarto i 49ers mettono in scena una rimonta furiosa con i passaggi da touchdown di Joe Montana e pareggiano, prima che il kicker di Washington Moseley si ricordi di fare il proprio lavoro, e dopo aver sbagliato 4 field goal realizzi quello decisivo per la vittoria di Washington.

E nel Superbowl sarà rivincita: infatti i Raiders, grazie alla prestazione spettacolare di Marcus Allen, che corre per 154 yards e riceve 7 passaggi per ulteriori 62, oltre a segnare due touchdown, superano nettamente Seattle 30-14. Il Superbowl 18 di Tampa è il primo nella storia che rimette di fronte le stesse finaliste dell'anno prima, ma non tiene fede alle premesse di equilibrio del prepartita: i Raiders partono a razzo, chiudono il primo tempo avanti 21-3, poi quando Washington prova timidamente a riavvicinarsi sul 21-9, tornano a premere il pedale dell'acceleratore e chiudono l'incontro con un mortificante (per Washington) 38-9, lo scarto maggiore nella storia della finale, fino a quel momento. Marcus Allen è l'MVP, dopo una partita da 192 yards e due touchdown, 74 e uno tutti insieme in una sola volta, nella corsa da meta più lunga nella storia del Superbowl. Il costo di 30 secondi di spot nella partita dell'anno è salito a 368.000 dollari.

Il draft del 1984 non è memorabile, anche perchè tutti i migliori, da Steve Young a Mike Rozier, da Gary Zimmerman a Reggie White avevano già firmato per la USFL. In una mossa ostruzionistica contro la nuova lega, la NFL tiene a giugno un draft supplementare per i soli giocatori che avevano già firmato per la USFL e per la Canadian football league.

Bird-Magic: contatto

Bird e Magic nella prima finale NBA contro

E finalmente l'Evento si compie: al loro quinto anno in NBA, Larry Bird e Magic Johnson si sfidano nelle Finali: il lavoro duro sotto i tabelloni, la Tradizione dei Celtics, contro lo Showtime dei Lakers. dopo aver vinto gara 1 a Boston, i Lakers hanno due punti di vantaggio e palla in mano per andare 2 a 0 e in pratica chiudere la serie: ma uno sciagurato passaggio di James Worthy viene intercettato, portando al pareggio dei Celtics, che poi vincono ai supplementari. I Lakers vincono gara 3 di 33 punti, ma di nuovo non sanno chiudere il discorso e perdono gara 4, di nuovo ai supplementari. Magic Johnson finisce sotto accusa per errori decisivi nei momenti critici delle due partite perse da Los Angeles, e la critica è concorde nell'affermare che sono stati i Celtics a fare la scelta migliore nel giorno del draft di 5 anni prima. Dopo due vittorie casalinghe, la finale va a Boston per la settima e decisiva partita: e qui la Tradizione ha la meglio sul contropiede, il lavoro duro sotto i tabelloni (52 a 33 per Boston il conto dei rimbalzi) premia gli sforzi dei Celtics, che vincono il titolo di fronte a una platea televisiva di oltre 40 milioni di spettatori, un record per l'epoca. Bird è l'ovvio MVP delle finali, dopo che aveva vinto l'analogo premio per la stagione regolare.

Al draft di giugno, i Rockets hanno la prima chiamata assoluta e fanno la scelta più ovvia, con Hakeem Olajuwon, che andranno ad affiancare a Ralph Sampson per fare un'accoppiata di lunghi senza precedenti nella storia del gioco. Poi, con il numero due i Portland Trail Blazers fanno la scelta che cambierà i destini loro e dei Chicago Bulls per i successivi 15 anni, selezionando il centro Sam Bowie. Con Drexler già preso l'anno prima, a Portland credevano di non aver bisogno di un'altra guardia: felici di poterlo fare loro, i Chicago Bulls usano la terza scelta per Michael Jeffrey Jordan dall'università di North Carolina. Philadelphia fa una gran pescata al numero 5, con Charles Barkley, e ancora meglio scelgono gli Utah Jazz, che con il numero 16 selezionano il mingherlino John Stockton, futuro leader ogni epoca in assist.

BYU, un titolo di soppiatto

Titolo contestato per BYU

Le polemiche dell'anno prima per l'attribuzione del titolo di campione nazionale del football sono bazzecole, in confronto al pasticcio di quest'anno: alla fine della stagione regolare, c'è solo una squadra imbattuta, BYU, che però gioca nella debole WAC conference, ha affrontato nel corso dell'anno, proprio in apertura di stagione, una sola squadra delle top 25, Pittsburgh, e ha avuto poi un calendario di comodo. Come campione della WAC, BYU gioca automaticamente l'Holiday Bowl, un bowl di seconda fascia, tanto che si disputa tra i primi di fine anno, il 21 dicembre. Il comitato dell'Holiday bowl cerca invano avversari per i Cougars, ma nessuna grande scuola vuole rinunciare ai soldi garantiti da bowl più prestigiosi, a cominciare da Oklahoma, numero 2 delle classifiche, e Washington, numero 4, che si affrontano nell'Orange bowl di capodanno, convinti che sarà la vincente della loro partita ad essere eletta campione nazionale. Soprattutto Oklahoma ha i numeri per sostenere la propria candidatura: i Sooners hanno perso solo una volta, ma poi hanno pareggiato contro Texas e battuto Nebraska quando queste erano al momento numero 1 dei rankings, e hanno anche battuto Pittsburgh, nonchè i rivali statali di Oklahoma state, quando i Cowboys erano numero 3. Ma intanto si inizia nell'Holiday bowl: alla fine, il comitato ha convinto Michigan, reduce però da una stagione mediocre, con 6 vittorie e 5 sconfitte. BYU fa di tutto per buttare via la partita e la stagione: 6 palle perse, una partita che doveva vincere dando una prova di forza e in cui si trova invece ad inseguire, sotto 17-10 con 11 minuti da giocare. I Cougars mostrano però grande spirito, e riescono a recuperare e alla fine a prevalere, senza fuochi di artificio, 24-17. Nei campus di Washington e Oklahoma sono tutti sicuri: chi vince l'Orange bowl sarà campione nazionale. Vince Washington, in maniera convincente: 28-17. Ma secondo i soliti ignoti delle classifiche, non basta: aver giocato nella difficile PAC-10, aver perso una sola partita, di misura e su un campo difficile come quello di USC, aver battuto di fronte a una platea nazionale la vera numero 1 dei rankings non basta. BYU ha finito la stagione imbattuta e tanto basta per attribuirle il titolo nazionale. Resta il fatto che se Oklahoma o Washington avessero rinunciato a un po' di soldi per andare a "stanare" i Cougars nell'Holiday bowl, il titolo poteva andare a loro: l'avidità non sempre paga.

Le due sconfitte in finale nelle ultime due edizioni del Torneo di basket si affrontano nella partita per il titolo del 1984, in una sfida epocale tra i due centri, Hakeem Olajuwon e Patrick Ewing, future superstar NBA. Georgetown, numero 1 del West regional e numero 2 della Nazione, dopo una grande stagione regolare con 29 vittorie e sole 3 sconfitte, rischia paradossalmente di più al primo turno che nelle altre partite del Torneo: contro SMU, in una delle partite più brutte della storia, Ewing e soci vincono 37-36, con SMU che realizza allo scadere un canestro da otto metri: ci fosse stato l'arco da tre punti, la partita sarebbe andata ai supplementari. North Carolina, numero 1 della Nazione, con Jordan e Perkins al loro ultimo anno prima della NBA, sbatte invece contro Indiana, che a sua volte perde la finale dell'East contro Virginia. Houston, che senza Drexler non è più la super potenza dell'anno prima, riesce comunque a raggiungere le Final four grazie all'immenso Olajuwon, e la quarta semifinalista è Kentucky. Nelle semifinali nazionali, Houston supera a fatica Virginia 49-47, mentre in quella che secondo molti è la vera finale, la difesa asfissiante di Georgetown lascia a 40 punti Kentucky, e consente una facile vittoria agli Hoyas di coach Thompson, 53-40. La partita per il titolo nazionale è molto più aperta, con continui ribaltamenti di fronte, ma alla fine la panchina lunga degli Hoyas è il fattore decisivo nella vittoria finale per Georgetown, 84-75, l'unico titolo nella carriera di un giocatore straordinario come Patrick Ewing, mai fortunato, però, nei momenti decisivi delle stagioni.

Altri sport

Gretzky alza la coppa

Finalmente vince la sua prima Stanley cup Wayne Gretzky: ma come succederà poi a Jordan nel basket, è solo dopo che gli Edmonton Oilers gli hanno messo vicino dei grandi comprimari che "the great one" può risplendere anche sul palcoscenico più importante. Contro gli Islanders, infatti, sono decisive le prestazioni del portiere Grant Fuhr e in modo particolare del centro Mark Messier, MVP delle finali. Jim Kelly negli anni di USFL Anno due della USFL, che prima dell'inizio fa il botto mediatico con il draft: arrivano l'uomo da 40 milioni di dollari Steve Young e il vincitore dell'Heisman trophy Mike Rozier. Ma è un altro rookie che poi domina la stagione, vincendo anche l'MVP: Jim Kelly e l'attacco "run and shoot" che porta in campo con gli Houston Gamblers produce medie strepitose, e riempie spesso e volentieri l'Astrodome.

I Gamblers chiudono la regular season con 13 vittorie, ma meglio di loro fanno i Philadelphia Stars, con 16, New Jersey, Birmingham e Tampa Bay, con 14. Raggiungono la postseason anche gli Express di Young, ma il Coliseum è praticamente sempre vuoto. Nelle semifinali di conference, però, Los Angeles sorprende i campioni uscenti di Michigan, dopo addirittura 3 supplementari, e i Gamblers inciampano contro Arizona. Nelle finali di conference, Arizona supera Los Angeles e Philadelphia si sbarazza di Birmingham, preludio a una netta vittoria nella seconda finale della USFL contro i Wranglers, 23-3. Secondo molti, gli Stars potrebbero giocarsela con molte squadre NFL.

Swale è l'ennesima vittima della maledizione della triplice corona del galoppo, ma in maniera diversa rispetto alla maggioranza degli altri cavalli con due vittorie nelle tre prove massime per un purosangue di tre anni: Swale, infatti, vince il Kentucky derby ma arriva solo settimo nelle Preakness stakes, poi si riprende e vince le Belmont stakes, la corsa che in genere infrange i sogni di gloria dei 3 anni. La sua fine è tragica: solo otto giorni dopo la vittoria nelle Belmont, ha un collasso e muore mentre si trova nella sua fattoria.

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